SENTIERI DA VALLECUPOLA
“ASCENSIONE” AL MONTE NAVEGNA: UN SENTIERO NELLA MEMORIA
Tempo di Percorrenza: dalle 2,5 alle 3,5 ore (…ma sostanzialmente tutto il tempo che riterrete necessario, nella salita il miglior ritmo è sempre il vostro. Consiglio di fermarsi spesso e ammirare i paesaggi).
Equipaggiamento: Per andare sul navegna non serve un equipaggiamento particolare. Consiglio un buon paio di scarpe da trekking ed uno zainetto leggero. Ovviamente la stagione può imporre vestiti ed equipaggiamenti più o meno invernali. A mio avviso è meglio salire da aprile ad ottobre.
Accorgimenti: Portare con sé un telefono cellulare.
Importante: Assicurarsi che le previsioni del tempo per il giorno della gita siano ottimali. Il Navegna con il maltempo si copre spesso di nubi che possono facilmente fare perdere l’orientamento.
Il sentiero perduto ed i passi della memoria…
Vallecupola offre paesaggi straordinari ed ancora poco battuti dalle rotte del turismo montano. La valle nella quale si colloca è unica per bellezza e conformazione e si differenzia notevolmente dalle aree e dai paesi circostanti generalmente posizionati su picchi isolati e dominanti “Rocche” (ai margini di gole e vallate) o su antiche strade di confine come “Varchi” (a fondo valle). La valle offre percio’ all’occhio un paesaggio inconsueto nel panorama e nella morfologia della catena dei Monti Cervia e Navegna. Alle Pareti calcaree ed alle forre selvagge che caratterizzano il Navegna del versante Sud-Ovest e Sud-Est si contrappongono i crinali erbosi ed i magnifici castagneti, boschi di faggi e querce che digradano dolcemente verso Nord-Est, proprio lungo il sentiero che stiamo per descrivere. Gli escursionisti hanno “scoperto” il Navegna, ma non Vallecupola, a partire dagli anni ’80 dimostrando di apprezzare il suo ambiente di transizione tra quello preappenninico dei mondi Sabini e dei Lucretili e quello prettamente montano dei monti del Cicolano e della Duchessa. Il sentiero che porta in cima al monte Navegna è stato tracciato dalle guardie del “Parco Regionale dei Monti Navegna e Cervia”[1] alla fine degli anni ’90. Tuttavia va detto che quello descritto sarà il “vecchio” percorso che porta alla cima del Navegna (1508 m) e che veniva seguito dai pastori che portavano gli armenti all’alpeggio durante i mesi estivi. E’ per questo un sentiero che si arricchisce di passi e di storie andate, ma non perdute. Esso assume una valenza evocativa particolare al viaggiatore che e’ in grado di coglierne e apprezzarne questi tratti di una memoria “transumante” ancora viva nelle tradizioni e nei canti di queste valli ai “confini” del tempo.
Il nostro percorso inizia dal centro di Vallecupola, che fino agli anni 70 rappresentava uno dei centri più importanti della tradizione pastorizia della provincia di Rieti. Ancora oggi è rinomato il formaggio pecorino prodotto con strumenti e metodi tradizionali dai (pochi) pastori che ancora vi abitano. Negli anni del dopoguerra i campi della valle su cui affaccia il paese erano coltivati a grano, frumento e mais. E’ ancora vivo tra i vecchi del luogo il ricordo del “rito” della mietitura e della lavorazione del raccolto. Le estati in questi luoghi si reimpivano di feste e di canti associati alla transumanza ed alle messi, fondendosi in un’unica realta’ fatta di volti scavati, di lavoro duro e manuale, di sole e storie vissute e consumate letteralmente tra i campi.
Oggi le persone che hanno vissuto quelle esperienze sono poche, con loro svanisce oggi un pezzo di storia dell’Italia rurale del ‘900. Quello che pero’ a Vallecupola non e’ ancora scomparso sono le case, i vicoli, le scale, i camini e tutte quelle “forme” che ancora oggi possono ridestare nel nel viaggiatore, echi di un tempo diverso, un tempo “lungo”, scandito dalle stagioni. Quelle forme, quelle case, sono state affastellate nel tempo che, come il maestro dei rigattieri, ha voluto conservare qui, uno accanto (o talvolta sopra) all’altro, ricordi e simboli che vanno dall’alto medioevo fino ai giorni nostri. Scendendo le scale del paese si “sente l’odore” di quel tempo dalle maglie molto larghe, che passava in maniera molto diversa da quello delle città. Le pareti in pietra locale raccontano storie, non ci sono graffiti, pochi segni, un vecchio lucchetto alla porta di legno ammuffito che un tempo adduceva ad una cantina, un arco tra due edifici abbastanza alto per far agevolmente passare il Santo in processione, una scala che conduce giù, ad un portico buio ed ad un orto che non coltiva più nessuno. E poi l’anomalia della dimensione temporale in cui si è calati appare e si staglia sul portale di una casa ristrutturata e riportata all’antica pietra ed all’antica rustica bellezza. …Ma scendendo quelle scale è anche facile sentire delle voci. In realtà non è facile capire immediatamente da dove esse provengano. Si ha quasi l’impressione che siano frutto dell’anomalia temporale in cui si è calati e sembra quasi che appartengano ad una lingua e persone “passate”. Scendendo le scale…consiglio di cercare il Sig. Pietro Testa, classe 1921, un “vecchio” ragazzo che ha girato il mondo… durante la seconda Guerra Mondiale come soldato e successivamente al seguito dei soldati britannici (come prigioniero). Custode della di una cultura sparita, pastore che amava parlare (in inglese) alle proprie pecore e depositario dell’antico metodo per fare il formaggio pecorino.
Ai piedi del paese si ha il primo contatto visivo con il Navegna. Una montagna che incute rispetto e timore nei mesi invernali o quando è cattivo tempo…ma che al contempo, silente e calma, ricorda ai più l’immagine di un uomo addormentato (…o un coccodrillo ai bambini). Uscendo dal paese si prende la piccola strada asfaltata che volta a sinistra in direzione “La Forca” e che dà su un vallone naturale solcato da un torrente e sovrastata da vecchie stalle ormai in disuso. Dopo circa 200 metri si incontra una cappella dedicata a S. Antonio da un signorotto locale che, moltissimi anni fa’, cadendo da cavallo invocò il Santo e si salvò. Sulla strada si possono notare orti di fortuna (e non) spesso protetti con metodi ingegnosi dalle angherie di istrici e cinghiali. Si supera una Villa con piscina…che sembra uscita da una storia diversa da quella che stiamo raccontando e si prosegue sulla strada asfaltata. A destra si staglia il Monte Poraglia. Un tempo vi era un altro insediamento umano, probabilmente risalente ad epoca altomedioevale o tardo-romana. Questa valle nei secoli ha rappresentato un enorme ceppo di confine dove si incontravano (e scontravano) popolazioni diverse: i Sabini della Valle del Turano e gli Equi della Valle del Salto, Il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio. Oggi rimangono pochi segni, appena visibili di tali passaggi. Andando avanti sulla strada è possibile notare, tra il monte Navegna ed il Poraglia, un piccolo mammellozzo. La località è stata denominata “La Forca” (quota 1088m) proprio a causa della conformazione delle due montagne e della collinetta. Voltandosi si può avere già un bel colpo d’occhio sul paese. Viene in mente che la storia è fatta da un intreccio di piccole storie ed è difficile identificarne i contorni. Così Vallecupola resta là, adagiata su quella collina senza tempo e le sue storie di vita sono ormai ridotte a pochi aneddoti raccontati dai pochi vecchi che ancora vi abitano e pochi giovani che tentano di preservarle dall’oblio…
Dopo 2.2 Km di cammino si arriva quindi in prossimità de La Forca. Si gira a sinistra su una strada carreggiabile sterrata in corrispondenza di uno slargo ed un grande prato delimitato da un basso muretto a secco. Proseguendo dopo circa 150 m si arriva presso il nuovo fontanile di Fonte Raina (quota 1102). In realtà l’antico fontanile è qualche centinaio di metri più avanti. Quest’area è stata meta per lunghi decenni di pastori che nei mesi estivi portavano i greggi in montagna. Questa zona costituiva una sorta di “campo base” costantemente attrezzato per i pastori e i loro animali che lì sostavano per poi, spesso, portarsi in cima al Navegna, meta della nostra passeggiata odierna. Oggi in corrispondenza della fonte esiste un’area attrezzata dove nei mesi estivi, ed in particolare a Ferragosto, molti, giovani e non, si ritrovano per un picnic a base di pecora arrosto, formaggio pecorino e prosciutto locale. Per quanto riguarda i pastori ed i greggi, ne rimangono pochi, “sentinelle” di un luogo ed un tempo che sfuma lentamente.
Alle spalle della fonte è ben visibile una scalinata costeggiata da una palizzata in legno costruita alla metà degli anni ’90 che sostituisce il primo tratto del sentiero che porta al Navegna. La scalinata si inerpica sul pendio del monte a raggiunge un dislivello di 50 metri nel giro di poche rampe. Come abbrivio non è ideale, ma serve a rompere il fiato. Prima di entrare nel bosco e prendere il sentiero, un ultimo sguardo alla valle. Già al primo tornante il paesaggio cambia ed il versante di riferimento sarà, fino alla vetta, quello sud orientale che dà sul Lago del Turano. Il primo affaccio sul lago e sulla sabina romana in lontananza è già mozzafiato, ma non è nulla se comparato alla vista dalla vetta. Già a questa quota la vegetazione cambia. Ai castagneti tipici della zona pedemontana, si sostituiscono il querceto e la faggeta che, più in alto, sarà assolutamente predominante. In questa prima fase il sentiero è tracciato con segni rossi e bianchi o con cerchi di vernice gialla, ma il tracciato è ben visibile sul terreno ed è quasi impossibile sbagliare strada. In più rovi e spini creano un ostacolo naturale ai camminatori che si dovessero spingere fuori dalla zona battuta. In primavera in questa prima fascia di altitudine è possibile imbattersi in orchidee selvatiche, primule, narcisi e violette. Con un po’ di fortuna poi si possono anche incontrare l’anemone ranuncoloide, l’elleboro, la digitale e la scilla. Per quanto attiene la fauna, diciamo innanzitutto che il parco in cui il Navegna è inserito non è lontano dal Parco Nazionale d’Abruzzo, per questo motivo nell’area è possibile imbattersi in animali tipici dell’appennino abruzzese tra i quali anche una piccola famiglia di lupo ed una coppia di aquile che si sono ambientati nelle zone più impervie ed inaccessibili tra Navegna e Cervia. Molti sono i cinghiali, le lepri e le volpi. Mai avvistati orsi ( per fortuna n.d.a.), ma in compenso negli anni 2000 si sono susseguiti una serie di avvistamenti del gatto selvatico. Completano l’elenco lo scoiattolo, la donnola, la puzzola e numerose specie di rapaci diurni e notturni oltre a diversi tipi di picchio e fringuelli.
Passate alcune centinaia di metri, in corrispondenza di una terrazza naturale (quota 1201) sul Lago del Turano in cui è possibile fermarsi a prendere fiato, e’ possibile scegliere il proseguio del viaggio tra il sentiero segnato o il “vecchio” sentiero dei pastori.
Descriviamo brevemente il sentiero segnato dai guardia-parco per poi concentrarci sul “vecchio sentiero” più suggestivo, ma non segnato. Il sentiero prosegue salendo dolcemente in direzione Sud-Est. Passa attraverso faggete molto vecchie, gli alberi sono sufficientemente radi per permettere l’osservazione dell’ambiente a valle e a monte per diverse decine di metri. Usciti dal bosco bisogna girare bruscamente a Nord (a sinistra) ed affrontare una impegnativa “impettata” seguendo il filo spinato fino in cresta. Da lì si segue per la vetta la cui croce è già visibile sul versante sud Sud-Est.
Il “vecchio sentiero” invece prosegue dalla terrazza già menzionata in maniera decisamente più scoscesa in direzione sud-ovest. In questa fase più si sale, meglio è. Si inizia pertanto a salire seguendo delle tracce sottili lasciate dai greggi nella salita. Si sale per circa 100 metri di dislivello attraversando un tratto che è in gran parte non coperto da vegetazione. Arrivati in corrispondenza del bosco di faggio si costeggia il bosco seguendo verso monte e si entra nel bosco solo quando la traccia si fa più larga e battuta, in corrispondenza di una quercia morta (quota 1323). Siamo entrati nella “Valle Longa”. Non è importantissimo entrare nel bosco esattamente nel punto giusto, infatti esistono, a diverse quote, ingressi di sentieri diversi che proseguono parallelamente l’uno all’altro, il più a valle dei quali è rappresentato dal sentiero segnato. Una volta nel bosco si segue il sentiero, che è meno ripido rispetto al tratto precedente, fino ad uscirne dopo circa 15’ di cammino. In questa fase consiglio di camminare facendo il meno rumore possibile per poter ascoltare e magari vedere meglio qualche animale selvatico. Suggerisco anche di soffermarsi a guardare con un po’ piu’ di attenzione i tronchi degli alberi caduti. E’ infatti possibile rendersi conto che in questi boschi per molti tratti e’ possibile vedre preservato il cosi’ detto “ciclo del legno”, quello che caratterizza una pianta dalla nascita alla decomposizione dopo la morte. Questo garantisce al bosco uno sviluppo ed una conservazione naturale. Alle volte questo ciclo (a seconda del tipo di pianta) si compie ed estingue nel giro di molti secoli. Lo sfruttamento del territorio e delle sue risorse, permettono che tale ciclo si chiuda solo nell’appennino o sulle alpi, lontano dai centri abitati, sempre piu’ spesso solo nelle zone protette come questa. Una volta usciti dal bosco si segue a sinistra (sud-ovest) in direzione della cresta del monte. Anche in questo caso si costeggia il filo spinato, ma si sbuca nei pressi di quota 1463, ben più in alto rispetto al sentiero segnato e questo consente di non affrontare la pettata verso la vetta. In questo versante del monte è possibile vedere branchi di cavalli e mucche che nei mesi estivi pascolano in libertà con i propri piccoli. E’ sconsigliabile avvicinarsi troppo alle bestie che possono sentirsi minacciate, anche se generalmente non sono pericolose. Una volta raggiunta la cresta (1463 m) si prosegue superando il filo spinato in direzione della croce verso sud (a destra) già visibile. Dopo circa 250 metri dal filo spinato, in uno dei dolci avvallamenti presenti in direzione Est (a sinistra del sentiero in salita) si può vedere una faggeta che più in alto si accosterà maggiormente al sentiero. Si tratta dei cosidetti “Fai Allitterati” (faggi con lettere incise). E’ una tradizione che (per fortuna n.d.a.) si è persa e che viene citata in questo scritto solo per informazione. Infatti nel secolo scorso i pastori ed i camminatori che raggiungevano la vetta del Navegna lasciavano il “segno” del proprio passaggio mediante incisioni sugli alberi. Sono pertanto ancora visibili sui fusti ed i rami, in alto, incisioni risalenti agli anni ’60 e ’70. Tuttavia oggi è segno di rispetto per le piante e per la preservazione dell’ambiente circostante, non abbandonarsi a questa pratica. Consiglio piuttosto di lasciare una frase o una dedica su un biglietto, lasciandolo nella roccia sotto la croce.
Si giunge in breve alla croce (1508 m) ed il paesaggio è mozzafiato. In un unico colpo d’occhio si possono vedere sia il lago del Salto (in direzione Sud-Est) e quello del Turano (in direzione Ovest).
Il monte Navegna corona una serie di cocuzzoli minori dell’Appennino laziale. A Sud il Monte Filone (1329 m) alza le pareti calcaree più importanti della catena che dominano Prato Ventro e le Gole d’Ovidio, il canyon che separa il Navegna dal Cervia (1438m), ben visibile in direzione Sud-Est. Negli anni ’70 la valle è stata deturpata da una strada sterrata e da successivi sbancamenti (cui sono seguite numerose frane ancora visibili). In lontananza ,in direzione Sud-Est, alle spalle del Lago del Salto, si possono vedere il Monte Nuria, i Monti della Duchessa, il Velino e la vetta del Gran Sasso. Ad Ovest e’ possibile vedere tutta la Sabina romana ed i Monti Lucretili.
Il tempo di un pasto frugale, a base di formaggio pecorino, pane e prosciutto. Un bicchiere di acqua, mezzo di vino. Il tempo per due chiacchiere e il tempo per fissare nelle nostre macchinette e nella nostra memoria quel luogo e quelle emozioni. Ed e’ gia’ ora di ridiscendere.
Il pensiero va’ a “quel” tempo perduto che e’ stato possibile ritrovare e rivivere grazie ad un percorso ricco di suggestioni e paesaggi che riempiono occhi e cuore… sul sentiero perduto che al ritmo dei passi e della memoria da Vallecupola porta in cima al Monte Navegna.
[1] Il Parco fu istituito nel 1988 ed ampliato nel 1997, ha una superficie di 2915 ettari ed interessa sette comuni della zona. Vallecupola non ne fa parte, nonostante sia punto privilegiato di accesso.